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Il Quartiere Coppedè è una piccola area urbana di Roma unica nel suo genere (non propriamente un quartiere) costituita da 17 villini e 26 palazzine, che si snodano lungo vie a raggiera intorno a piazza Mincio, suo epicentro. Deve il suo nome dall’architetto e scultore fiorentino che lo progetta e ne segue la costruzione, Gino Coppedè. Chiamato a Roma nel 1913 proprio per la realizzazione di questo complesso, commissionatogli dai finanzieri Cerruti e Becchi della Società Anonima Edilizia Moderna, dirige i lavori fino alla sua morte, avvenuta nel 1927. L’entrata del quartiere è segnato dalla originale prospettiva della via Diagonale (oggi via Doria). tra due torri cariche di ornamenti eclettici entriamo da massiccio arco ribassato tra i due Palazzi degli Ambasciatori , per arrivare al cuore del quartiere, piazza Mincio, con al centro la Fontana delle Rane . Da piazza Mincio le vie interne si diramano a raggiera da questa piazza: oltre a via Doria, via Brenta, via Aterno e via Tanaro. Altre strade del quartiere sono via Olona e via Ombrone. Intorno a noi massicci edifici e sognanti villini, sono caratterizzati da un coacervo di stili che, in una geniale opera di contraffazione, vengono evocati in modo da sovrapporsi gli uni agli altri. Sulle facciate delle costruzioni sbocciano decorazioni che ricordano gli ori bizantini, i marmi e i cotti dell’Assiria, i ferri battuti, ora gotici, ora liberty, le citazioni dall’arte paleocristiana o manierista, tutti accostati con una profusione di ornamenti che rasentano l’allucinazione. I dettagli, a volte carichi di implicazioni simboliche, si susseguono ovunque si posi lo sguardo: balconcini, piccionaie, misteriosi e conturbanti bestiari, lucerne, bifore e sculture che rasentano l’assurdo. I villini, alti fino a 19 metri e generalmente disposti su 2 o 3 piani, sono circondati da giardini con una folta vegetazione, delimitati da grandi cancellate di confine.

Le facciate degli edifici presentano una commistione di motivi mitologici greci, archi, torrette, ponti e reggifiaccole medievali in ferro battuto, edicole sacre che rinviano all’iconografia classica cristiana, e vetrate in stile Liberty, con la stilizzazione di elementi naturali, come gigli, rose e rami intrecciati insieme. Gli edifici, invece, danno direttamente sulle strade e hanno più piani, e hanno un aspetto massiccio seppur alleggerito da logge e balconi. Il Quartiere Coppedè ha avuto al suo nascere alcuni estimatori e molti detrattori fra cui gli “architetti razionalisti” che lo definirono il “quartiere degli orrori”. Questo straordinario miscuglio di stili, peculiarità di tutto il quartiere, portò a ricondurre Gino Coppedè sotto la più vasta terminologia di Neoeclettismo ma in realtà la sua arte è a sé stante, senza precedenti né, finora, successori. Ideato inizialmente per un ceto medio impiegatizio, il quartiere cambiò successivamente destinazione, adeguandosi a un possibile utilizzo signorile. Lo stravagante architetto non poteva, però, allora prevedere quali sarebbero stati i successivi sviluppi della città e della società. L’innalzarsi di nuovi palazzi e palazzine lì intorno, la fiumana di traffico automobilistico e la selva di insegne al neon fecero sì che il quartiere apparisse un po’ spento e antiquato, cadendo così nell’oblio generale. Ciononostante le sue suggestive architetture hanno ammaliato il regista Dario Argento, che vi ha girato alcune scene di “Inferno” e “L’uccello dalle piume di cristallo”.


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